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martedì 15 settembre 2015

Italian Punk Hardcore 1980-1989 The Movie - Qualche riflessione, qualche ricordo

Da dieci anni e passa fioccano documentari di tutti i generi, ed era ora che la scena hc più importante in Europa a metà anni ottanta ne avesse uno dedicato. Alla fine la lunga gestazione è giunta al termine, e "Italian Punk Hardcore 1980-1989, The Movie" è uscito.

L'uscita ha ottenuto una copertura mediatica impensabile non solo 20 ma anche dieci anni fa. Prima "Il Venerdì" di Repubblica (e per fortuna c'era Marco Mathieu per scrivere l'articolo). A ruota l'uscita è stata coperta da Rolling Stone (a dimostrazione di un certo tipo di interesse).


Me lo sono visto ieri sera, e ho appreso molte cose che non sapevo della scena 80-83. A dispetto del titolo, fondamentalmente viene coperto con grande accuratezza il periodo dalla nascita del movimento alla chiusura del Virus a Milano.Io all'epoca certe cose le avevo solo sentite nominare ( l'offensiva di primavera, il Last White Christmas - su cui ovviamente ho sentito molto di più). Un capitolo del DVD è assolutamente impagabile: il concerto dei Black Flag a Milano dell'83. Mi ricordo all'epoca di averne letto una recensione su Rockerilla. La vera storia è assai diversa.
Come nota Marco Mathieu, si tratta di un mosaico da cui escono le varie sfacettature dell'inizio del tutto. .L'apice e il declino dell' hc italiano vengono messi assieme nell'ultimo capitolo del documentario.Su quel periodo si sorvola un poco
Marco inzia così il suo articolo:



 "Quello con il basso, seminascosto nella foto qui sopra, sono io. Ventotto anni e una manciata di mesi fa, al Casalone di Bologna, durante un concerto memorabile per l' hardcore italiano: Negazione (il mio gruppo), CCM e Indigesti. Ma questa è (quasi) un' altra storia.". (ampiamente documentata in "Trippa Shake Aniversary 1982-2012" )

Un'altra storia? Non direi. Non è più storia del "movimento", ma è senz'altro storia dell'hardcore italiano. Quel concerto rappresenta il culmine della scena italiana (mancavano giusto i Raw Power).
Avendo avuto occasione di leggere interviste ai gruppi e di parlare con alcuni di loro sono giunto alla conclusione che sul palco erano perlopiù inconsapevoli della cosa. Sotto il palco esattamente il contrario: chi non era ubriaco o allucinato concorda nel riternerlo un concerto epocale, un momento storico nella vicenda dell'underground italiano - anche se non si tenne in un posto occupato ma in un club (la cosa assolutamente NON saltava all'occhio, a parte l'organizzazione perfetta).



Un ricordo personale di quell'evento
Entrando al Casalone si nota subito l'organizzazione impressionante; banchi delle autoproduzioni ai lati, nell’aria la voce di Jello Biafra (“Message from our sponsor”, dalla colonna sonora di “Terminal City Ricochet”) che dichiarava la città sotto legge marziale.
I CCM suonarono per primi. Era uno spettacolo con cui avevo una grande familiarità e mi tenni fuori dal pit, che partì subito. Uno skin si buttò dal palco e atterrò nel vuoto, di pancia, sul nudo pavimento. Si rialzò subito e ricominciò a ballare. Un tipo accanto a me mi chiese “Ma hai visto???”

“Cosa, lo skin?” chiesi.

“Ma che, sono fatti di gomma?”

Dopo aver dipinto un quadro di conflitto sociale sulla parte jazzata di “Crushed by the wheels of industry” Syd sul palco cantava “Money in my pockets” , stavolta senza spargere biglietti da mille lire sul pubblico. Erano perfetti, ma si coglieva la tensione.

I CCM finirono il loro set raccogliendo una buona dose di acclamazioni. Sotto il palco la gente non aveva idea di quello che stava succedendo.

Salirono sul palco gli Indigesti. Attaccarono con un’introduzione cadenzata. Un brevissimo stop, e nel momento in cui partono a tutta velocità il gruppo salta e simultaneamente a questo e ad un flash delle luci dai lati opposti del palco due del loro seguito si producono in uno stagediving incrociato. Puro mito. Tuffi acrobatici dal palco. Passai tutto il loro set nel più perfetto dei giri di slam dance,  dove se solo appena inciampavi c’erano subito due o quattro mani pronte a sorreggerti.

Quando gli Indigesti finirono ero piuttosto stremato e mi misi da un lato. I Negazione me li vidi dalle retrovie. Era la prima volta che li vedevo in un luogo dall’acustica dignitosa e con un soundcheck decente, e per la prima volta apprezzai davvero la forza granitica del loro impatto sonoro: sfilarono una dopo l’altra “Diritto contro un muro”, “Lo spirito continua”, e poi una cover, “Power” degli Agnostic Front, “Tutti pazzi”. Vicino a me c’era una ragazza che cantò tutta “Lei ha bisogno di qualcuno che la guardi”.

Alla fine del concerto avevo qualche nuovo graffio sul chiodo, avevo perso un anello ed ero pervaso dalla sensazione di aver assistito al culmine di qualcosa. Collezione di attimi per le sensazioni più belle.


Quel concerto è anche l'inizio del vero declino: spentesi le luci  i CCM si sono sciolti, Fabrizio lascerà i Negazione, gli Indigesti non faranno più un concerto in Italia. E siamo nel giugno 1987: tre anni dallo sgombero di Via Correggio (tra l'altro i primi tre anni della mia frequentazione della scena). L'hardcore italiano era andato avanti anche senza il Virus . E anche senza il Victor Charlie, sgomberato nell'agosto dell'86. Ma lo spirito continuava, perché il Victor non erano tanto le mura quanto la gente, nell'87 ci furono concerti in giro e nell'88 nacque il Macchia Nera, anche se non sarebbe stata la stessa cosa (ma ho splendidi ricordi del Macchia, e bei ricordi dell'Isola nel Kantiere (BO), che assieme a Leoncavallo (MI) - fino allo sgombero dell'89- e Forte Prenestino (RM) costituiranno i principali nodi della scena nella seconda metà degli ottanta - è una storia di Zone Temporaneamente Autonome, avete presente? ).

Un'altra cosa che non viene molto fuori nel documentario è la scena italiana come parte di un network internazionale.
Wretched, Declino,Contrazione, Negazione, Impact, Raf Punk, CCM furono tutti su P.E.A.C.E./War, assieme a DRI, MDC, Articles Of Faith, Septic Death, Dead Kennedys etc.
Non è che nell'84 semplicemente le fanzine americane iniziano a interessarsi dell'hc italiano (gente di area GDHC scriverà spesso per Maximum Rock and Roll). Si crea un rapporto biunivoco, gruppi italiani vanno all'estero, gruppi esteri vengono in italia a suonare nel circuito dell'underground. E non pensate a un qualcosa che sia parente dei gruppi crust o thrash che vanno a fare tour in sudamerica oggi come oggi. Frequentare la scena HC italiana a metà anni 80 voleva dire viversi uno dei luoghi in assoluto meno provinciali dell'Italia dell'epoca.
E ovviamente la rete di scambio/distribuzione di fanzine, cassette e vinili era internazionale (nell'85 presi "Dealing with it" dei DRI al Victor Charlie, dai ragazzi della Belfagor, a 14.000 lire, mentre a Contempo Records a Firenze lo stavano vendendo a 40.000).

Nel documentario ci sono alcune frecciatine polemiche nei confronti del Victor Charlie (latecomers, compromessi con il potere perché per sopravvivere si erano costituiti in circolo Arci, etc.). Ma ce ne sono non poche anche dirette al Virus e a Raf Punk/Attack Punk, quindi il tutto è parte della "dialettica interna" al movimento.
Per il Victor credo che le parole di Silvio (Declino/Indigesti) sistemino la cosa, e alla grande:

"Il Victor Charlie è stato per certe ragioni il posto più bello ... la creazione più bella dell'hardcore italiano per quel che riguarda i luoghi"















4 commenti:

  1. Comunque gli Impact non tirano nessuna frecciatina al Victor Charlie

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  2. La cosa è stata ampiamente chiarita (faccia a faccia e pure in radio), alle volte il montaggio fa uscire le cose in un modo che può essere frainteso

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  3. Non ho mai avuto dubbi sul fatto che la cosa sia stata chiarita, ho ascoltato le puntate radio di Don Diego e Gigo (stupende entrambe). Mi riferivo semplicemente al tuo post: io nel documentario non vedo alcuna polemica nelle affermazioni di Gigo. Non credo che il montaggio c'entri qualcosa

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  4. Quando il documentario uscì quel passaggio fu frainteso da molti di "quelli che c'erano", una questione di storia e sensibilità

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