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sabato 19 settembre 2015

1985: thrash, hardcore, crossover - il trentennale - venerdì 25 settembre ore 17 www.garageradio.it

FERA è iniziata con una puntata intitolata "Lo spirito dell'85".
Perché il 1985 è un anno cruciale nella storia del thrash metal e dell'hardcore punk?
A marzo escono "Dealing with it" dei DRI e "Hell Awaits" degli Slayer
Ad aprile esce "Bonded By Blood" degli Exodus
In agosto esce "Speak English Or Die" dei SOD
Ad ottobre uscirà "Animosity" dei Corrosion Of Conformity..




Se c'è un anno di nascita ufficiale del crossover thrash è proprio il 1985, con le uscite di DRI, COC, SOD.
Dal lato metal era stato adeguatamente preparato dal 1984, con Kirk Hammet che sfoggiava una maglietta dei Discharge sul retro della copertina di "Ride The Lightning" e con l'uscita di "War and pain" dei Voivod (un disco a metà tra metal e D-Beat)  - ho già parlato diffusamente di crossover thrash, e se si guarda alla maggioranza di quello che viene definito hardcore da 20 anni a questa parte, l'argomento è di una rilevanza decisamente attuale.
E' l'anno del (relativamente) famoso primo tour americano dei Broken Bones, e di un loro celebre concerto al CBGB. Bones la racconta così:

"Arriviamo ...e aprendo la porta c'è un tipo alto e biondo con accanto un piccoletto. Il biondo fa 'Hey, sono i Bones!' e io rispondo 'Salve!", non avendo idea di chi siano. Dopo il soundcheck gli stessi due tipi tornano e si presentano:' Ciao, io sono James Hetfield dei Metallica e questo è Scott Ian degli Anthrax, siamo grandi fan della vostra band!'. E così dopo varie chiacchere venimmo a sapere che quella sera i Metallica suonavano a L'Amour, a Brooklyn, e visto che il nostro era uno show all ages che cominciava alle cinque ci diedero dei backstage pass per il loro concerto..." 
("Burning Britain", Ian Glasper, 2004)

E questa è la versione di Charlie Benante:

"I Metallica suonavano a  L’Amour , a  Brooklyn, e io e Scott Ian portammo James Hetfield alla  Sunday matinee al CBGB a vedere i Broken Bones. Ad alcuni non piacque il fatto che ci fossero questi capelloni ai loro show. Ma alla fine della giornata James era nel  pit sulle spalle di qualcuno, e così è andata. Poi la faccenda del crossover diventò importante davvero." 

(A proposito dei Broken Bones, giusto leggendo il libro di Glasper ho scoperto che all'inizio si misero a fare rock blues, e che solo in seconda battuta - e prima di incidere - decisero di tornare al punk)
 

Broken Bones


Uno degli eventi cruciali nella storia del crossover in Italia (e l'evento cruciale nella mia esperienza del fenomeno) fu la data fiorentina di Venom , Exodus e Atomkraft, nell'ottobre1985
Non so, né ho trovato notizie,  di massiccia presenza punk nelle date di Roma o Torino. Ma a Firenze c'era molta gente di area GDHC al concerto. Era più di un anno che frequentavo la scena hc (l'unico metallaro presente ai concerti al Victor Charlie (Pisa)  nell'84, se ben mi ricordo - tra i tanti graffiti sui muri ne avevo trovato  uno col demone del singolo dei Metallica e la scritta "So c'mon, jump in the fire!").
Riguardo il concerto c'era un qualche timore di problemi per via di un'annunciata presenza skinhead. Ma tutto filò liscio. Una breve cronaca, per dare un'idea dell'aria che tirava.


Gli Atomkraft, che aprivano, furono sopportati con sufficienza, e generalmente con sommo disinteresse.
Gli Exodus entrarono in scena accolti da un’ovazione, attaccarono e… difficile da descrivere. Io ero a scuotere la testa nelle prime file, e quando arrivarono a “Strike of the beast” pensai che avrei finito per scassarmi  il collo.
In una pausa notai che mentre le prime file erano impegnate in un headbanging furioso, più indietro si era creato uno spazio circolare in cui i punk pogavano (il termine esatto sarebbe slam dance, ma certe questioni di etichetta hanno perso significato ormai - oggi la definizione corrente è mosh pit).
Del resto era una prima volta per tutti i presenti - in seguito le barriere residue sarebbero cadute naturalmente e i pit misti  sarebbero diventati la regola.
Paul Balloff sarà anche stato uno che saliva sul palco ubriaco e si scordava le parole dei pezzi, ma se lo fece quella volta noi non ce ne accorgemmo. Quando parlava col pubblico capivamo poco più del titolo dei brani, ma il tono della sua voce (una rabbia e un’aggressività enfatiche, quasi teatrali e al tempo stesso completamente genuine) colmava ampiamente questa lacuna nella comunicazione. Gli Exodus dal vivo erano di un’intensità intraducibile in parole. Cosa avevano all'epoca? Per usare le parole di Ron Quintana "The speed, the screaming, the yelling, the guitarwork".
Gli Exodus si presero tutto. Quando arrivarono i Venom, il pubblico era stato prosciugato di buona parte delle sue energie.
Chissà cosa si aspettavano Cronos e soci, con le loro fontane pirotecniche, con la loro nebbia arancione e con i ventilatori nascosti che muovevano loro i capelli. Forse si resero conto di essere superati, che il vento era radicalmente cambiato, forse no.

Nella diatriba tra Cronos e Rollins, rivenuta fuori di recente (al di là di ogni dubbio a fini promozionali per i "nuovi" Venom), non ho difficoltà a credere alla versione di Rollins e di Joe Cole, roadie dei Black Flag. Quando i Venom di Cronos sono usciti col loro ultimo disco e l'ho senttito cantare "We're the long haired punks" ho trovato la cosa francamente ridicola - ma indicativa, un voler cogliere lo spirito dei tempi (vedere United As One # 2) , con cui all'epoca non seppe sintonizzarsi (quest'anno se ne sono viste parecchie, di rivendicazioni di radici punk/hardcore del tutto farlocche). Del resto non è in uscita un nuovo album dei PIL?

Ritornando all'85, a quel concerto le metal heads erano già in larga parte thrashers  pronti per il crossover. Ed erano passati solo due anni dall'uscita di "Kill 'em All" dei Metallica...

Indigesti

Per quel che riguarda l'hardcore italiano (parliamo di musica) come si sarà capito è un momento magico. E anche il periodo del cut-off: la formula 2-3 accordi con basso e batteria sparati a mille su cui vengono urlati testi-slogan in italiano  ("rumble and clatter", applicata nei primi anni dalla maggioranza deii gruppi )  sta perdendo smalto. Ci sono ancora gruppi che vanno sul palco e fanno la loro cosa - e ce ne sono altri che salgono sul palco e spaccano. Sono queste ultime band a diventare attraenti per diversi metallari che fino ad allora si erano tenuti ben distanti dall'hardcore (guarda caso, la cosa era già successa a S.Francisco e stava succedendo proprio in quel periodo a NY con i Cro-Mags).

Nell'85 escono "Screams from the gutter" dei Raw Power e "Osservati dall'inganno" degli Indigesti. L'anno successivo sarà la volta di "Lo Spirito Continua" dei Negazione e "Into the Void" dei Cheetah Chrome Motherfuckers. A riascoltarli oggi non si rileva alcuna traccia di muffa, niente che suoni  anche vagamente stantio. La cosa che salta all'occhio è che i quattro grandi classici dell'hardcore italiano hanno sound estremamente diversi l'uno dall'altro . Non manifestano "influenze" sensibili, dal punto di vista dello stile, brillano per originalità. Due sono cantati in inglese, due in italiano. Il campanaccio, che sarà individuato molto più tardi (dagli americani, soprattutto) come un "marchio di fabbrica" dell'hc italiano anni 80 (Negazione, Raw Power, Upset Noise, per fare esempi) non lo trovate né su "Osservati" né su "Into The Void". Impossibile confondere un gruppo con l'altro.Quattro dischi che sono il simbolo di una delle ultime stagioni irripetibili.

Nota a margine: se non conoscete i dischi appena citati non andatevi a cercare recensioni in rete. Ascoltateli e basta. Così evitate di leggere che "Osservati" è fortemente ispirato dal migliore hardcore losangeleno (e perché non dal peggiore, a questo punto? Visto che ci siamo....).


1985, thrash, hc, crossover - 1985, thrash, hc, crososver by Friday Extreme Rock Adventures on Mixcloud

martedì 15 settembre 2015

Italian Punk Hardcore 1980-1989 The Movie - Qualche riflessione, qualche ricordo

Da dieci anni e passa fioccano documentari di tutti i generi, ed era ora che la scena hc più importante in Europa a metà anni ottanta ne avesse uno dedicato. Alla fine la lunga gestazione è giunta al termine, e "Italian Punk Hardcore 1980-1989, The Movie" è uscito.

L'uscita ha ottenuto una copertura mediatica impensabile non solo 20 ma anche dieci anni fa. Prima "Il Venerdì" di Repubblica (e per fortuna c'era Marco Mathieu per scrivere l'articolo). A ruota l'uscita è stata coperta da Rolling Stone (a dimostrazione di un certo tipo di interesse).


Me lo sono visto ieri sera, e ho appreso molte cose che non sapevo della scena 80-83. A dispetto del titolo, fondamentalmente viene coperto con grande accuratezza il periodo dalla nascita del movimento alla chiusura del Virus a Milano.Io all'epoca certe cose le avevo solo sentite nominare ( l'offensiva di primavera, il Last White Christmas - su cui ovviamente ho sentito molto di più). Un capitolo del DVD è assolutamente impagabile: il concerto dei Black Flag a Milano dell'83. Mi ricordo all'epoca di averne letto una recensione su Rockerilla. La vera storia è assai diversa.
Come nota Marco Mathieu, si tratta di un mosaico da cui escono le varie sfacettature dell'inizio del tutto. .L'apice e il declino dell' hc italiano vengono messi assieme nell'ultimo capitolo del documentario.Su quel periodo si sorvola un poco
Marco inzia così il suo articolo:



 "Quello con il basso, seminascosto nella foto qui sopra, sono io. Ventotto anni e una manciata di mesi fa, al Casalone di Bologna, durante un concerto memorabile per l' hardcore italiano: Negazione (il mio gruppo), CCM e Indigesti. Ma questa è (quasi) un' altra storia.". (ampiamente documentata in "Trippa Shake Aniversary 1982-2012" )

Un'altra storia? Non direi. Non è più storia del "movimento", ma è senz'altro storia dell'hardcore italiano. Quel concerto rappresenta il culmine della scena italiana (mancavano giusto i Raw Power).
Avendo avuto occasione di leggere interviste ai gruppi e di parlare con alcuni di loro sono giunto alla conclusione che sul palco erano perlopiù inconsapevoli della cosa. Sotto il palco esattamente il contrario: chi non era ubriaco o allucinato concorda nel riternerlo un concerto epocale, un momento storico nella vicenda dell'underground italiano - anche se non si tenne in un posto occupato ma in un club (la cosa assolutamente NON saltava all'occhio, a parte l'organizzazione perfetta).



Un ricordo personale di quell'evento
Entrando al Casalone si nota subito l'organizzazione impressionante; banchi delle autoproduzioni ai lati, nell’aria la voce di Jello Biafra (“Message from our sponsor”, dalla colonna sonora di “Terminal City Ricochet”) che dichiarava la città sotto legge marziale.
I CCM suonarono per primi. Era uno spettacolo con cui avevo una grande familiarità e mi tenni fuori dal pit, che partì subito. Uno skin si buttò dal palco e atterrò nel vuoto, di pancia, sul nudo pavimento. Si rialzò subito e ricominciò a ballare. Un tipo accanto a me mi chiese “Ma hai visto???”

“Cosa, lo skin?” chiesi.

“Ma che, sono fatti di gomma?”

Dopo aver dipinto un quadro di conflitto sociale sulla parte jazzata di “Crushed by the wheels of industry” Syd sul palco cantava “Money in my pockets” , stavolta senza spargere biglietti da mille lire sul pubblico. Erano perfetti, ma si coglieva la tensione.

I CCM finirono il loro set raccogliendo una buona dose di acclamazioni. Sotto il palco la gente non aveva idea di quello che stava succedendo.

Salirono sul palco gli Indigesti. Attaccarono con un’introduzione cadenzata. Un brevissimo stop, e nel momento in cui partono a tutta velocità il gruppo salta e simultaneamente a questo e ad un flash delle luci dai lati opposti del palco due del loro seguito si producono in uno stagediving incrociato. Puro mito. Tuffi acrobatici dal palco. Passai tutto il loro set nel più perfetto dei giri di slam dance,  dove se solo appena inciampavi c’erano subito due o quattro mani pronte a sorreggerti.

Quando gli Indigesti finirono ero piuttosto stremato e mi misi da un lato. I Negazione me li vidi dalle retrovie. Era la prima volta che li vedevo in un luogo dall’acustica dignitosa e con un soundcheck decente, e per la prima volta apprezzai davvero la forza granitica del loro impatto sonoro: sfilarono una dopo l’altra “Diritto contro un muro”, “Lo spirito continua”, e poi una cover, “Power” degli Agnostic Front, “Tutti pazzi”. Vicino a me c’era una ragazza che cantò tutta “Lei ha bisogno di qualcuno che la guardi”.

Alla fine del concerto avevo qualche nuovo graffio sul chiodo, avevo perso un anello ed ero pervaso dalla sensazione di aver assistito al culmine di qualcosa. Collezione di attimi per le sensazioni più belle.


Quel concerto è anche l'inizio del vero declino: spentesi le luci  i CCM si sono sciolti, Fabrizio lascerà i Negazione, gli Indigesti non faranno più un concerto in Italia. E siamo nel giugno 1987: tre anni dallo sgombero di Via Correggio (tra l'altro i primi tre anni della mia frequentazione della scena). L'hardcore italiano era andato avanti anche senza il Virus . E anche senza il Victor Charlie, sgomberato nell'agosto dell'86. Ma lo spirito continuava, perché il Victor non erano tanto le mura quanto la gente, nell'87 ci furono concerti in giro e nell'88 nacque il Macchia Nera, anche se non sarebbe stata la stessa cosa (ma ho splendidi ricordi del Macchia, e bei ricordi dell'Isola nel Kantiere (BO), che assieme a Leoncavallo (MI) - fino allo sgombero dell'89- e Forte Prenestino (RM) costituiranno i principali nodi della scena nella seconda metà degli ottanta - è una storia di Zone Temporaneamente Autonome, avete presente? ).

Un'altra cosa che non viene molto fuori nel documentario è la scena italiana come parte di un network internazionale.
Wretched, Declino,Contrazione, Negazione, Impact, Raf Punk, CCM furono tutti su P.E.A.C.E./War, assieme a DRI, MDC, Articles Of Faith, Septic Death, Dead Kennedys etc.
Non è che nell'84 semplicemente le fanzine americane iniziano a interessarsi dell'hc italiano (gente di area GDHC scriverà spesso per Maximum Rock and Roll). Si crea un rapporto biunivoco, gruppi italiani vanno all'estero, gruppi esteri vengono in italia a suonare nel circuito dell'underground. E non pensate a un qualcosa che sia parente dei gruppi crust o thrash che vanno a fare tour in sudamerica oggi come oggi. Frequentare la scena HC italiana a metà anni 80 voleva dire viversi uno dei luoghi in assoluto meno provinciali dell'Italia dell'epoca.
E ovviamente la rete di scambio/distribuzione di fanzine, cassette e vinili era internazionale (nell'85 presi "Dealing with it" dei DRI al Victor Charlie, dai ragazzi della Belfagor, a 14.000 lire, mentre a Contempo Records a Firenze lo stavano vendendo a 40.000).

Nel documentario ci sono alcune frecciatine polemiche nei confronti del Victor Charlie (latecomers, compromessi con il potere perché per sopravvivere si erano costituiti in circolo Arci, etc.). Ma ce ne sono non poche anche dirette al Virus e a Raf Punk/Attack Punk, quindi il tutto è parte della "dialettica interna" al movimento.
Per il Victor credo che le parole di Silvio (Declino/Indigesti) sistemino la cosa, e alla grande:

"Il Victor Charlie è stato per certe ragioni il posto più bello ... la creazione più bella dell'hardcore italiano per quel che riguarda i luoghi"















lunedì 14 settembre 2015

Il declino della cività occidentale (visto con gli occhi di oggi) - Venerdì 18 settembre ore 21 www.garageradio.it

Ho perso il conto delle volte che mi sono rivisto "The decline of western civilation" e non mi ricordo quando è stata la prima, anche sono pronto a scommettere che sia stato a metà anni 80. Ai tempi il pacchetto classico era costituito dal primo Declino, "Suburbia" e "Repo Man" (che poteva vantare i Circle Jerks non solo nella colonna sonora, almeno in parte....).. Se vi guardate ora per la prima volta il Declino e vi ricordate di aver visto gente vestita in quel modo, o con quei tagli capelli, non c'è verso: avete più di 45 anni. Il film scatta un'istantanea (losangelena) in cui il punk della precedente ondata (X, Catholic Discipline, Bags) gode di ottima salute e convive con l'hardcore appena nato (Germs, Fear, Black Flag, Circle Jerks). E' la testimonianza di uno snodo epocale in cui ancora il pubblico sputa sulle band e sotto il palco c'è il pogo (saltare su e giù a coppie) e non è arrivata la slam dance, o moshing che dir si voglia.
Fa un certo effetto vedere Keith Morris, Greg Ginn, Greg Hetson nei loro venti (e Lee Ving nei suoi trenta), dopo che ci siamo abituati ormai al loro aspetto attuale. Mentre di Lee Ving continuo ad avere l'immagine che da di sé ne "Il Declino", Morris ormai mi sono abituato a vederlo con dread e occhialini. Del resto sono passati 35 anni, che è letteralmente una mezza vita. Una cosa è sicura: nessuno allora si immaginava su un palco passati i 40 (o anche i 30, volendo): "I don't wanna live/ to be thirty-four/ I don't wanna die/ in a nuclear war", ricordate?


Locandina significativa per titolo e gruppi

Dangerhouse fu l'etichetta indipendente che fece uscire molti singoli della prima ondata del punk californinano, tra cui gli X, e il suo catalogo, raccolto alla fine degli 80 in due lp da Frontier, è un buon complemento al film della Spheeries per farsi un quadro del periodo.
In larga parte dimenticati, voglio ricordare tra i componenti della prima ondata del punk losangeleno gli Angry Samoans. Avevano un'energia e uno stile che li distingueva e una irrefrenabile scorrettezza politica che fu causa della difficile vita della band. Scrissero un pezzo contro Rodney Bingenheimer, con testi al vetriolo, a titolo "Get Off The Air"

"Get off the air, get off the air
You pathetic male groupie, you don't impress me
Get off the air, you fucking square
You're just a joke as far as I can see"

Il risultato fu che furono banditi dai maggiori cliub e dalle maggiori stazioni radio di L.A. (il che, come potete immaginare, fu un discreto problema).
Ancora una volta viene da rflettere sulla velocità dei cambiamenti di allora. Tra il punk del 77 e l'hardcore (sia in California che nel Regno Unito) ci sono più o meno due anni, e nel frattempo sono già venuti fuori il postpunk e il death rock. Una prolificità creativa del tutto impensabile dagli anni novanta in poi, quando a proliferare sono state le etichette di genere più che le nuove forme musicali.vere e prioprie.



La scaletta:
Nei primissimi 80 le due culture, punk e metal, avevano gnuna i propri santini, e i punti di contatto erano ridotti a uno (i Motorhead). Per il metal si trattava di Led Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath, per il punk di MC5, Stooges, Dead Boys, Ramones. La scaletta percorrerà gli anni settanta  dagli Stooges alla Los Angeles del 79-80 e dintorni.



The Deline of Western Civilisation by Friday Extreme Rock Adventures on Mixcloud

sabato 12 settembre 2015

Barbari in copertina e considerazioni minime sui '70

Nei primi anni 70, in  "Almost famous" un fittizio e idealizzato Lester Bangs dice al protagosta adolescente (un Cameron Crowe in larga parte fictional anch'esso) "Mi spiace che ti sia perso il rock and roll, ragazzo" (in realtà i primi venti minuti del film sono una miniera di buone citazioni).
La frase è il prototipo dell'atteggiamento tra le vecchie generazioni di rocker e quelle che li hanno seguiti.
Il punto è che l'atteggiamento è. solidamente motivato.Chi si era vissuto le culture degli anni 60, dalla swinging London alla S. Francisco psichedelica, dal brit blues boom a Beatles, Rolling Stones e Who, un decennio finito in UK con l'esordio dei Led Zeppelin e in USA col fiorire della Detroit di MC5 e Stooges, non poteva non vedere gli anni 70 come un periodo di declino.
In realtà, nell'ottica di questo blog, gli anni settanta sono stati centrali (non è la prima volta che se ne parla), per motivi del tutto ovvi.
Tra i vari aspetti dei settanta uno di cui non si parla troppo spesso è l'ingresso di alcuni grandi illustratori sulle copertine dei dischi . In primo luogo Frank Frazetta.
L'avvento del cd (per tacere di youtube e MP3) ha senz'altro minimizzato l'impatto che aveva la copertina di un album. Allora essere una band all'esordio su lp e avere in copertina "The death dealer" di Frazetta non era cosa da poco...


E non era cosa da poco specialmente se si era un gruppo di un certo genere (per quel che mi riguarda le copertine dei primi tre dischi sono l'unica cosa che mi sia mai piaciuta dei Molly Hatchet).
Pensate alle copertine dei dischi power metal dai novanta e in poi e se volete piangere, fate pure. Il fatto è che ancora più che il paradigma musicale, nei 70 viene forgiato l'immaginario di quello che sarà poi l'heavy metal (classico) - tema in parte già trattato qua, per esempio.
A proposito di Frazetta non è un caso che una decina di anni fa i Wolfmother o chi per loro siano andati a cercarlo per la copertina del loro debutto su lp. L'intento era volutamente retrò, e in linea con la rendenza dello stoner-doom-sludge che ha recuperato un certo gusto grafico.
Non si possono non ricordare Rodnay Mattews - la cui attività per le album cover è stata lunghissima, e che negli anni ottanta produrrà copertine per Praying Mantis e sopratutto Diamond Head (Living on a borrowe time) -  e Roger Dean (che diede copertine e Budgie e Uriah Heep). Entrambi lavoreranno principalmente per album prog.
Vorrei segnalare un'altra copertina (e non quello che ci stava dentro).


Qua è al lavoro Richard Corben, l'autore di Bloodstar e del più famoso Den, personaggio che finì dentro "Heavy Metal" (1981), il film - per chi non lo sapesse il nome si riferisce all'edizione americana di Metal Hurlant, non tanto al genere musicale, ma giocava sull'equivoco, inserendo nella colonna sonora Sammy Hagar, Blue Oyster Cult, Black Sabbath e Trust; oggi basta accendere radio o tv per avere ottime probabilità di imbattersi in riff di chitarre distorte, ma allora la cosa era piuttosto rivoluzionaria, specie per il pubblico italiano.

Negli anni ottanta ci sarà uno sparuto gruppo di copertine "d'autore", tra metal e hc punk: A parte quelle già citate, Greg Hildebrandt per i Black Sabbath, Michael Wheelan per i Cirith Ungol e ovviamente H.R. Giger per Celtic Frost e per il poster interno di "Frankenchrist" dei Dead Kennedys.(il famoso "Penis Landscape", tra l'altro alla radice dell'odissea giudiziaria della band).

La scaletta: non ci saranno gli Zappelin, né i Deep Purple, né gli Aerosmith, né Ted Nugent, né i Kiss o i  Thin Lizzy o gli AC/DC o gli Uriah Heep o i Rainbow o i Judas Priest-  un'indicazione ve la do con un'altra copertina di Frazetta:





mercoledì 2 settembre 2015

Qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo e un po' di UK 82 - Venerdì 4 settembre ore 21 www.garageradio.it

E' stata un estate densa di avvenimenti. Tra le altre cose in molti siamo stati intossicati dalle condivisioni del nuovo singolo degli Iron Maiden, diventato virale appena uscito. Concerti di tutti i generi e i tipi, e nessuno avrebbe potuto essere neanche a tutti quelli che gli interessavano in Italia. Quelli che mi sono voluto vedere ad ogni costo li ho documentati nei post precedenti, compreso quello assolutamente epocale,,,,
In breve, a una decina d'anni dalla nascita del web 2.0 la parola d'ordine è inflazione, proliferazione esponenziale dell'offerta.
In questo affollato panorama è uscito un nuovo EP dei Doom, "Consumed to death" (due sterline su bandcamp, se volete risparmiare). Il che mi da l'occasione per parlare un po' di del vecchio hardcore inglese.


In principio vennero i Motorhead e, parola di Lemmy, guardarono con molto più interesse alla scena punk inglese di fine anni settanta che ai nuovi gruppi metal. Interesse del tutto corrisposto: quando vennero fuori i Discharge, e poi GBH e Exploited all'epoca erano definiti semplicemente hardcore punk o punk motorheadiano. I termini D-Beat e UK-82 erano lungi da venire (tra l'altro fin dall'inizio degli anni 80 i Motorhead erano veramente amati dai punk, e se nei loro ambienti si avventurava un capellone con la t-shirt dei Motorhead di solito non veniva guardato con troppo sospetto).


La stagione che vide entrare nella storia le "spiked hair"  non si è sottratta al fervore documentaristico degli ultmi dieci anni, ed è ben ritratta da "Burning Britain: The History of UK Punk 1980–1984 " di Ian Glasper, e dal DVD che ne è stato tratto.
Questi gruppi inglesi sono stati fondamentali per più di un aspetto.Hanno avuto un'influenza vasta e profonda, e la cosa vale sopratutto per i Discharge. Nonostante la relativamente scarsa e difficile distrubuzione, quell'influenza arrivò fino agli USA, facendo nascere diversi gruppi dallo stile "inglese" (i Battalion Of Saints, a San Diego, e poi nella Bay Area, vedi Crucifix, Capitol Punishment e sopratutto, più tardi, Neurosis). E non a caso nella Bay Area queste band finirono per costituire una delle influenze alla base della nascita del thrash metal. Per molti metallari delle successive generazioni questo punto si rivelerà controverso, ma se Gary Holt dice che il thrash metal è nato dalla NWOBHM con un pizzico di Discharge, non vedo motivi per cui non gli si dovrebbe credere  ( "Get Thrashed", 2006).
Ai tempi molti headbangers arrivarono a cercare i dischi di questi gruppi dopo aver visto Metallica e Exodus con magliette di Discharge, GBH, Broken Bones (su tutt'altri fronti nell'84 uscivano dischi come "Morbid Tales" dei Celtic Frost, con pesanti ed evidenti influenze dischargiane, e "War and pain" dei Voivod , per cui la stessa band ha citato tra le influenze Broken Bones e GBH ).

Bones, primi anni ottanta
Sui Discharge è stato detto più che a sufficienza ovunque, tra l'altro anche grazie ai buoni uffici di James Hetfield. Ma i Broken Bones, fondati da Anthony "Bones" Roberts dopo essere uscito dai Discharge, come si sarà capito, meritano una nota a parte.
Per me sono stati musicalmente il momento più alto  dell'anarcho punk inglese. Avevano tutto, impatto, tecnica, songwriting, un'inconfondibile guitarwork.
Pur restando indiscutibilmente hardcore punk fino a "FOAD", avevano inserito nel loro sound una serie di elementi metal, primo tra tutti gli assoli di chitarra di Bones, che dai tempi di "Why?" aveva fatto immensi passi avanti, e già si sentiva su "Hear nothing, see nothing, say nothing". Era diventato un chitarrista di tutto rispetto con uno stile nutritosi principalmente dei soli di Fast Eddie Clarke (ma anche, come avrà a dire di recente su fb, ispirato da Dave Murray sui due primi lp dei Maiden). Il risultato fu fulminante fin dai loro singoli dell'83 e fin da subito piacque molto ai primissimi thrashers; segnò anche una tappa di un cambamento culturale, visto che in origine il punk (e specialmente l'hc) aveva una vera e propria repulsione ideologica nei confronti degli assoli, ritenuti una inutile eredità del vecchio rock - ma la cosa aveva anche radici tecniche, visto che la maggior parte dei gruppi punk iniziò la propria attività senza saper suonare (come candididamente ammesso, per esempio, da Greg Hetson - Circle Jerks/Bad Religion )

I Doom, 2015
Da metà anni ottanta i gruppi - specie sul fronte metal - partendo da queste basi iniziarono ad evolvere o a cambiare. Gli stessi Discharge a metà anni 80 tentarono di trasformarsi in una sorta di gruppo hard rock, con risultati più che discutibili.
Fatto sta che quando "War crimes (inhuman beings)" uscì su Peaceville nell'89 onestamente non ci prestai attenzione - in tempi di  Nomeansno, Fugazi, Victims Family,  i Doom erano solo un'altra band regressiva - quanti gruppetti dischargiani erano già venuti fuori nella prima metà degli 80? Invece il gruppo, mescolando D-Beat e metallo estremo, arrivava a riempire un vuoto, e così facendo è stato poi collocato tra le band alle origini del crust (altro termine di fatto inesistente all'epoca).

P.S. Riguardo ai dischi fatti uscire dai Discharge nel nuovo millennio nella websfera italiana si può trovare l'usuale dose di idiozie, e non starò neanche a fare il nome dei siti in questione. In primo luogo i Discharge non hanno MAI fatto metalcore. neanche negli anni 90 (come ha scritto qualche disgraziato). A dimostrazione dell'intelligenza di Bones, in un periodo in cui gli eredi del D-Beat (cioè i gruppi crust) popolavano in buon numero l'underground, le formazioni dei Discharge dal 2001 in poi sono uscite con due dischi che, pur mantenendo l'impronta sonora che è sempre stata loro, sono puro crossover thrash, nell'accezione di metà anni ottanta  (quindi dischi NON D-Beat, e generalmente assai lontani da quel suono che è stato definito "the UK crust soup") ...

La scaletta: un excursus di gruppi visti in estate, qualche nuova uscita di realtà consolidate e giovani promesse, roba inglese o con influenze inglesi, e via dicendo...